Palermo 2017
a cura di Giulia Regoliosi
L’ultimo re ostrogoto della dinastia degli Amali ci è conosciuto essenzialmente attraverso due fonti, il Bellum Gothicum di Procopio di Cesarea e alcune lettere di Cassiodoro, oltre a cenni nei Getica di Giordane e in qualche altro testo.
Come giustamente osserva Vitiello, a nessun biografo né antico né moderno è interessato scrivere una Vita di Teodato, personaggio evidentemente poco adatto, a differenza di altri dell’epoca come Teodorico, Amalasunta o Giustiniano, Teodora, Belisario, per creare una narrazione ricca di particolari pittoreschi, anche romanzati. Eppure il suo nome resta legato, come indicano i sottotitoli dell’opera originale e della traduzione italiana, alla caduta dell’Italia ostrogota, anche se dopo la sua morte il regno ostrogoto durò ancora diciotto anni coi diversi sovrani, fino alla definitiva sottomissione all’impero d’Oriente. Fu infatti la sopraffazione di Teodato nei confronti della cugina Amalasunta, la figlia di Teodorico che resse il regno per il giovanissimo re Atalarico e dopo la sua morte chiamò Teodato a condividerlo, a fornire un pretesto all’imperatore d’Oriente Giustiniano per intervenire in Italia, con l’intento di vendicare Amalasunta esiliata e uccisa ma in realtà per annettere l’Italia all’impero. Teodato fu deposto dai suoi per l’incapacità di reggere all’urto del generale Belisario e sostituito da Vitige; nel prosieguo della lunga guerra gotica la sua figura viene quasi dimenticata.
Il titolo originario di quest’opera anticipa un particolare significativo, che ha poi nel testo molta rilevanza. Teodato non era destinato a una carriera politico-militare: nato nella casa di suo zio Teodorico da una sorella del re (il padre resta decisamente ignoto), cresce a Ravenna, dove studia lettere latine e filosofia platonica, quest’ultima probabilmente non nell’originale, dato che non risulta conoscesse il greco. Come dice Vitiello nella conclusione, proprio come il filosofo Boezio, che non conosceva nulla di armi, il re platonico Teodato morì solo, forse addirittura proteggendosi dietro la sua filosofia per accettare l’inevitabile fine.
Un’opera preziosa per l’ampiezza delle informazioni e delle interpretazioni delle fonti, nonché per la correttezza del metodo storico. Al testo vero e proprio, arricchito da numerose note, si aggiungono delle appendici relative all’attività di Cassiodoro come prefetto del pretorio e alle interpretazioni degli ultimi due secoli sulle ambascerie di Teodato; inoltre un’ampia bibliografia e l’elenco delle fonti.