Home Traduzione Morte di Priamo (Eneide, II, 526-558)

Morte di Priamo (Eneide, II, 526-558)

by Mariapina Dragonetti

di Pietro Rapezzi


La presente traduzione è un lavoro giovanile, nato sui banchi del Ginnasio di molti anni fa. L’avvertenza è necessaria al fine di dare ragione sia della scelta anacronistica del metro che dell’impronta letteraria (si noti, ad esempio, la licenza poetica della diastole in Neottolèmo, perché lo strascicamento della parola faccia sentire con più forza il sarcasmo del guerriero greco: cfr. nota ad locum di Giovanni Pascoli). Essa pertanto si propone, è superfluo dirlo, non come saggio di versione, ma come frammento in sé concluso ed irripetibile: occasione ad una rilettura del celebre episodio, di cui non aspira che a cogliere qualche pallido riflesso.

Quand’ecco,  ad evitar dello spietato
Pirro l’ira, del vecchio Priamo figlio,
giunge in corsa Polite; e, già piagato,
dell’armi e dei nemici tra il periglio,
trapassa in fuga il lungo colonnato
e i vuoti atri percorre. Lui con piglio
di morte incalza Pirro, ed arde e freme,
già l’afferra, con l’asta già lo preme.
Come al cospetto alfine fu venuto
dei genitori, tra gran sangue, privo
di vita giacque. Allora, già premuto
dalla morte, ciononostante schivo
Priamo non stette, né fu all’ira muto.
“Ma di tale atto, se nel cielo è vivo
ancora – esclama – un soffio di pietà,
di tale infame temerarietà
debite grazie, premio meritato
gli dèi ti rendan, tu che a me presente
un figlio hai ucciso ed hai contaminato
d’un padre il volto. Oh ben diversamente
verso il nemico agì colui, onde nato
falsamente ti dici! Me piangente
accolse, ai miei diritti ed alla fede
fu riverente e a seppellir mi diede
il cadavere d’ Ettore e inviolato
mi ripose nel regno”.  In questo mentre
debole un telo il vegliardo, stentato
avventò, che, dal bronzo raucamente
respinto, nello scudo mal piantato,
pendulo restò al mezzo vanamente.
Cui Pirro: “Da te stesso dunque senta
questa novella il padre mio: rammenta
di riferirgli il fatto degradante
e di Neottolèmo il tralignare.
Ora muori”. E, nel dir così, tremante
trascinò il vecchio sullo stesso altare
e nel sangue del figlio vacillante,
nei capelli piantò senza esitare
la manca, con la destra il ferro aderse
e fino all’elsa in seno gliel’immerse.
Ecco del re la fine. Questo fato
lo colse nel vedere Ilio combusto,
Pergamo a terra: lui che un dì era stato
per tante terre e tante genti augusto
dominatore d’Asia incontrastato.
Giace sul lido un gran tronco, dal busto
spiccato un capo e senza nome un corpo.