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Note + Il latino dei cristiani

by Mariapina Dragonetti

[1] Cfr. soprattutto F. Ozanam, Comment la langue latine devint chrétienne, in Oeuvres complètes, II, Paris 18734, pp. 133 ss.. [Per leggere la versione italiana dello scritto clicca qui]

[2] Disponibile anche in una traduzione italiana arricchita da aggiornamenti bibliografici e da uno scritto di Chr. Mohrmann, Dopo quarant’anni, pp. 96-119, in cui si traccia un’analisi critica del lavoro di Schrijnen e una panoramica degli sviluppi a cui ha dato avvio. Altri scritti dello stesso autore sono contenuti nel volume miscellaneo Collectanea Schrijnen, Nijmegen-Utrecht 1939 (fra questi Le latin chrétien devenu langue commune, pp. 241-267). Di notevole importanza per lo studio del latino cristiano anche i numerosi scritti di Chr. Mohrmann, parte dei quali raccolti in Latin vulgaire, latin des Chrétiens, latin médiéval, Paris 1955 e nei quattro volumi Études sur le latin des Chrétiens, Roma 1961-1977. Di interesse più generale V. Loi, Origini e caratteristiche della latinità cristiana, Roma 1978 e O. García De La Fuente, Latín bíblico y latín cristiano, Madrid 19942. Rappresentazione sintetica in A. Blaise, Manuel du latin chrétien, Strasbourg 1955. Panoramica della questione con utili riflessioni in Norberg, pp. 28 ss. e Poli, pp. 410 ss. (con bibliografia).

[3] Tra le attività della scuola di Nimega va ricordata la pubblicazione della rivista «Vigiliae Christianae» e della serie Latinitas Christianorum primaeva (il cui primo volume è costituito proprio dalla monografia di Schrijnen), a cui si è affiancata a partire dal 1962 la serie Graecitas Christianorum primaeva.

[4] Tertull., ap. 42, 2.

[5] Tertull., idol. 14, 5.

[6] Rimandiamo al capitolo L’influsso cristiano del Löfstedt (pp. 99-125), ove si troveranno anche ulteriori indicazioni bibliografiche.

[7] Su quest’argomento cfr. M. Sordi, I Cristiani e l’impero romano, Milano 1983, p. 35 ss..

[8] August., doctr. Christ. II 11, 16. Cfr. anche J. Quasten, Patrologia (tr. it. di Patrology, Utrecht 19803), vol. I, Casale Monferrato 1980, pp. 490 e ss., con ulteriore bibliografia.

[9] Lo studio sistematico di questi dati fu fatto da Th. Dokkum, De constructionis analyticae vicem accusativi cum infinitivo fungentis usu apud Augustinum, Groningen 1900.Cfr. anche Schrijnen, pp. 28-29. Revisione critica delle conclusioni di Dokkum in P. Cuzzolin, Sull’origine della costruzione dicere quod: aspetti sintattici e semantici, Firenze 1994, pp. 245 ss. (la maggior estensione della costruzione con quod è dovuta al fatto che «comincia a prendere fisionomia definitiva la tendenza insita nel sistema»; in realtà lo scarto è troppo ampio perché se ne possa rendere ragione sulla base di considerazioni puramente diacroniche, senza tener conto di complesse motivazioni stilistiche, e anche psicologiche: secondo Cuzzolin, p. 285, «Agostino non innova qualitativamente, ma solo quantitativamente»).

[10] Cfr. Hieron., epist. XXXII, in cui Gerolamo narra di un sogno in cui si era visto comparire davanti al tribunale divino, e veniva rimproverato di essere «ciceroniano, non cristiano».

[11] Löfstedt, p. 103.

[12] Un’introduzione a tutta questo problematica è nel libro di G. Ceresa-Gastaldo, Il latino delle antiche versioni bibliche, Roma 1975. Il testo della versione latina biblica approntata da Gerolamo è noto col nome di Vulgata.Si dà invece il nome di Itala e di Afra alle versioni che precedono la Vulgata e circolavano rispettivamente nelle province occidentali e nell’Africa.

[13] Ioh. 2, 17. Le precedenti versioni hanno quia (Itala) e quoniam (Afra).

[14] Volgarismi soprattutto fonetici (nell’Afra si hanno forme come aoru per adorodiscendo per descendovobes per vobis, e così via), ma anche sintattici: in coi nomi di città e con l’ablativo per indicare movimento (in Hierosolymis), ecc..

[15] Schrijnen, p. 39.

[16] Schrijnen, p. 40.

[17] Quanto ad es. fanum sia marcato in senso pagano si può apprezzare ad es. da Prudenzio, cor. mart. II 1: Roma è chiamata antiqua fanorum parens.

[18] La debolezza di serbare (al di fuori di alcune espressioni fisse come serbare traccia, serbare memoria o simili) è dovuta anche al suo isolamento nel lessico: l’unico derivato di una certa importanza è serbatoio, che è comunque semanticamente molto lontano.

[19] Cfr. Löfstedt, p. 112 ss. per ulteriori informazioni su questo gruppo di parole.

[20] P.es. Aug., retract. II 1, 1 antistes … ecclesiae Mediolanensis; Damas., epist. 1 (PL 13, 348 B) Dei antistites.

[21] Cfr. XV 7, 6 (Liberius Christianae legis antistes); XXII 5, 3; XXVII 3, 15.

[22] Su parabola (e su altri termini che hanno visto mutare il proprio significato per influsso ebraico) cfr. l’articolo di J. Wackernagel, Lateinisches-Griechisches, «IF» 31 (1912/13), pp. 251-271 (a parabola è dedicato il paragrafo 3, pp. 262-267). Cfr. anche Löfstedt, pp. 117-121.

[23] Sen., ep. 59, 6 scriptores antiqui … parabolis referti sunt.

[24] Cfr. Quint. V 11, 23 parabole, quam Cicero conlationem vocat. Nel linguaggio tecnico della retorica parabol{h, che Cicerone ricalca con conlatio (p.es. de invent. I 49), non ricopre esattamente il valore di similitudo, in quanto ha il senso specifico di ‘paragone implicito’. L’opposizione fra similitudo parabola si coglie (anche se la lezione è dubbia e il senso non chiarissimo) p.es. in Quint. VI 3, 59 adhibetur autem similitudo interim palam, interim <inseri> solet parabol[a]e.

[25] Aug., c. Iul. 6, 9, 26 verbum baptizare ex Graeco Latina consuetudo sic habet, ut non soleat alibi nisi in sacramento refrigerationis intellegi.

[26] Il verbo s’incontra per la prima volta in un testo di età merovingica, la Visio Baronti, 1: ille nihil homini voluit parabolare sed digito gulam ei mo9nstrabat. Cfr. Norberg, p. 31.

[27] In area romanza il lat. verbum è continuato in sardo (log. bervos) col valore di ‘formula magica’.

[28] L’idea che il tingere la lana costituisca una corruzione della sua natura originaria è fortemente avvertita dalla poesia pagana: cfr. Virg., ecl. 4, 62 (mentiri … colores); georg. II 465; ecc..

[29] Cfr. Ex. 18, 11 magnus Dominus super omnes deos.

[30] Tert., apol. 50 tunde … Anaxarchi follem.

[31] Per una valutazione dell’impronta che la «civiltà greco-romana-giudeo-cristiana» ha lasciato, da un punto di vista semantico, sull’evoluzione futura della civiltà e della lingua, si veda L. Spitzer, Critica stilistica e semantica storica, Bari 1966, pp. 217 ss. (in particolare pp. 225 s.). Il processo per cui i tecnicismi cristiani e in genere la lingua speciale cristiana passa dal rango di parole al rango di langue è tratteggiato in modo succinto, ma originale da Giacomelli 1993, pp. 198-203.

[32] Cfr. Schrijnen, pp. 67 ss. (ma si vedano le riserve della Mohrmann, in appendice allo stesso volume di Schrijnen, pp. 113 ss.).

[33] Cfr. Tac., hist. I 53 inter paganos corruptior miles; Veget., epit. rei milit. II 23 si doctrina cesset armorum, nihil paganus distat a milite; Plin., ep. X 86 B, 18 et milites et pagani.

[34] Cfr. A. v. Harnack, Militia Christi, Tübingen 1905 e Löfstedt, pp. 108 ss. per ulteriori precisazioni sulla vicenda di questa parola. Si aggiunga S. Boscherini, Pagano, «Lingua Nostra» 17 (1956), pp. 101-107.