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Note + Uomini e dei in Atene

by Giorgio Zangrandi

N O T E

(1) Act. 17, 22.

(2) La parola è usata nel suo significato positivo; secondo l’etimologia essa indica un rispetto per gli dèi che nasce dal timore (cfr. l’it. reverenza) e ricorre, con una certa frequenza, a partire da Senofonte e Aristotele. Poiché un senso religioso fondato sul timore ha in sé qualcosa di precario e distorto, almeno tendenzialmente, il passaggio al significato negativo di ‘superstizione’ è comprensibile (cfr. Polyb. XII, 24, 55; ecc.).

(3) M. Pohlenz, L’uomo greco, trad. it. Firenze 1962, pag. 26 seg.; 38 seg.

(4) La parola, nel senso di ‘speculazione filosofica’, è usata frequentemente da Platone (Ap. 29 e; Tim. 47 a; ecc.); l’espressione θεὸν ζητεῖν è usata in Act. 17, 27.

(5) W. Otto, Gli dèi della Grecia, pagg. 221 seg.

(6) Sulla questione del legalismo nella religione greca cfr. M. Nilsson, Religiosità, pagg. 41 seg.

(7) Pind., I Ol., vv. 52 seg.

(8) Ibid., vv. 35 seg.

(9) Cfr. Archil., fr. 58 D, vv. 1-4.

(10) V Isth., vv. 193 seg.

(11) Il. I,  vv. 193 seg.

(12) Od. XX, vv. 30 seg.

(13) W. Otto, op. cit., pagg. 233 seg.

(14) Od. XIII, vv. 312 seg.

(15) Il. XVI, vv. 688 seg.

(16) Od. VI, vv. 167 seg.

(17) Il. XXIV, vv. 527 seg.

(18) Archil., fr. 67 a D.

(19) Pind. III  Pyth., vv. 81 scg.

(20) (τὸ θεῖον) φθονερὸν τε καὶ ταραχῶδες, Herod. I, 32.

(21) Od. XX, vv. 17 seg.

(22) La parola, che si trova già in un luogo tardo dell’Odissea (XXIII, 13), ma con significato generico, assume il senso di ‘atteggiamento interiore che evita la ὕβρις a partire da Theogn. I, v. 379. Affine è il senso di τλημοσύνη in Archil., fr. 7 D.

(23) Come indica l’etimologia (da σάος + φρήν).

(24) Fr. 543 P = 13 D.

(25) Cfr. Phaed. 85 c seg.

(26) Nome di alcuni profeti vaganti, non legati ad alcuna sede oracolare, che sono soggetti all’estasi da parte del dio e prevedono il futuro. Sull’esistenza di questa categoria di veggenti v. in particolare E. Rohde, Psyche, pag. 397; Realencyclopaedie, vol. II, col. 2801 seg. Un’opinione contraria, che nega l’esistenza di questi veggenti come categoria o setta, in E. R. Dodds, I Greci e l’irrazionale, trad. ital. Firenze 1959, pag. 89, n. 3.

(27) Che l’ispirazione poetica sia in sostanza una forma di estasi o addirittura di rivelazione è affermato da Platone nello Ione.

(28) Pbaedr., 245 e; cfr. anche Apol. 22 e; ecc.

(29) È l’uso della cosiddetta incubata, frequente soprattutto nel culto di Asclepio: il malato, dopo una purificazione rituale, si pone a dormire nel tempio del dio, e qui attende un sogno rivelatore, interpretato eventualmente con l’aiuto dei sacerdoti, Cfr. Boche-Leclercq, Histoire de la divination. I, pag. 320.

(30) Vv. 1485 seg.; cfr. anche vv. 1054 seg.

(31) Plat., Ion. 534 a seg. e passim.

(32) Od. VIII, v. 499; XXII, vv. 348-49; ecc.

(33) Su tutta la questione v. J. Duchemin, Pindare poète et prophète, Paris 1955. In particolare si legga NemVII, 17 seg.

(34) Fr. 1 D.

(35) Cfr. M. Nilsson, Religiosità, pagg. 7 seg.; W. Nestle, Storia della religiosità greca, pag. 59.      

(36) E. Galbiati-A. Piazza, Pagine difficili della Bibbia, Milano 1960, pagg. 282 e seg.

(37) Pers., vv. 93 seg.

(38) V. 461.

(39) In particolare egli ospitò nella sua casa la statua di Asclepio, trasportata da Epidauro ad Atene, e introdusse nella polis il culto di questo dio. Per questo i contemporanei onorarono Sofocle, dopo la sua morte, con il nome di Dexion (= ‘colui che accoglie’), e dedicarono un tempio agli dèi Asclepio e Dexion insieme.       

(40) Cfr. vv. 116 seg.; 764 seg.

(41) V. 1278.

(42) V. 87-112.

(43) Cfr. Plutarch., Per., cap. 10 e 21. Sulla questione cfr. anche V. Ehrenberg, op. cit.., pagg. 131 seg.; W. Nestle, op. cit., pagg. 129 seg.   

(44) Dei misteri, 11 segg.

(45) Ibid.; cfr. Thuc. V, 27 segg.

(46) Cfr. Lys., fr. 53 Th. Il personaggio di Cinesia è citato più volte: sulla sua attività letteraria e politica (fu poeta comico e ditirambografo) cfr. l’articolo di P. Maas in Realencyclopaedie, vol. XI, coll. 479 segg.

(47) Crit., Sisyph., fr. 1 N., vv. 25 seg. Che l’opinione fosse molto diffusa, è sottolineato dalla critica che ne fa Platone in Leg. 889 e.

(48) Thuc. II, 53, 4.      –        –   •’

(49) Thuc. II, 54.

(50) Cfr. Athen. IV, 158 e, ecc.

(51) “Io penso che nessuno degli dèi sia cattivo” (Iph. Taur., v. 391).

(52) “Perché dunque, sedendo sui seggi profetici, chiaramente giurate di conoscere i fatti divini ? Non sono altro che opera umana le vostre parole. Chi infatti vanta la propria capacità intorno agli dèi non fa altro che abbandonarsi fidente a delle parole” (Philoct., fr. 795 N; cfr. anche Hel. 744; ecc.).

(53) Mel. desm., fr. 506 N.

(54) Isocr., Panegyr. 53

(55) Si noti dal cambiamento della terminologia il mutarsi dell’atteggiamento:μοῖρα e αἶσαo esprimevano la partecipazione dell’uomo al disegno divino, mentre mette in rilievo semplicemente la casualità.

(56) Polyb. VI, 56, 6 seg.

(57) Philem., fr. 118 ab Kock.

(58) M. Nilsson, Religiosità, pagg. 259 seg.