poema lirico in tre atti di René Fauchois, musica di Gabriel Fauré, 1913
R. Fauchois
R. Fauchois (Rouen 1882-Paris 1962) è stato tragediografo, commediografo, attore di cinema e teatro, romanziere e poeta. Varie sue opere sono state trasposte per il cinema, o musicate.
Si è più volte ispirato al mito classico, e in particolare ai poemi omerici: oltre a quest’opera, che è una delle sue prime, ricordiamo Nausicaa (1919) musicata da Reynaldo Hahn e La mort de Patrocle, tragedia del 1926, come pure La Vengeance de Bacchus, moralité del 1950; simile interesse suscitarono i testi biblici (citiamo L’Exode del 1904, La fille de Pilate del 1908, Hérodiade del 1940).
La Pénélope
Il libretto della Pénélope deriva dai libri finali dell’Odissea, col ritorno di Ulisse e la vendetta sui pretendenti. Alcune innovazioni sono subito evidenti. Anzitutto il titolo sposta l’attenzione dal reduce alla donna, accentuando quindi l’elemento amoroso; in secondo luogo è totalmente assente, non solo di fatto ma anche nei discorsi e nei ricordi, il figlio Telemaco; in terzo luogo, benché gli dèi siano più volte nominati, non intervengono nella vicenda, il che rende poco credibile l’incapacità di Penelope di riconoscere il marito, seppure dopo vent’anni e in abiti da mendicante, senza l’azione trasformatrice di Atena. Altra importante innovazione è lo svolgersi della vendetta fuori scena, mentre Penelope e il vecchio Eumeo ne attendono l’esito: il rientro di Ulisse, uscito all’inseguimento dei pretendenti, ricorda scene topiche di western (non a caso si diceva del coinvolgimento di Fauchois nel cinema).
Questa la trama. Il primo atto si svolge nel vestibolo che precede le stanze di Penelope, dove le ancelle lamentano la loro sorte di schiave e sospirano pensando alla bellezza e all’attrattiva dei pretendenti. Questi entrano bruscamente, reclamando la presenza della regina; dopo un’indignata Euriclea, si mostra Penelope, che ricorda l’obbligo di terminare il sudario di Laerte prima di contrarre nuove nozze. I pretendenti protestano per l’esiguità del lavoro già compiuto e invitano con complimenti e allusioni la regina a partecipare alla loro festa. Penelope innalza un canto d’amore e nostalgia, ripetendo più volte il nome dello sposo: quasi in risposta si sente il richiamo del mendicante sconosciuto che chiede di entrare. La regina lo invita mentre i pretendenti, dopo aver tentato di opporsi all’accoglienza, se ne vanno al banchetto portandosi dietro le ancelle infedeli. Euriclea, anche prima della scoperta della cicatrice, rileva la somiglianza dello straniero con Ulisse, ma Penelope rifiuta, assecondata da Ulisse stesso, accettando solo la somiglianza della voce. Seguono il riconoscimento di Ulisse da parte di Euriclea e, al sopraggiungere dei pretendenti, la scoperta dell’inganno della tela. L’atto si chiude con un’innovazione: Penelope e Euriclea intendono recarsi, come ogni sera, su una collina che guarda verso il mare, e Ulisse ottiene di accompagnarle, dopo un breve canto d’amore mentre è per breve tempo solo in scena.
Il secondo atto si svolge sulla collina, dove s’innalza una colonna cinta di rose. Qui giunge il vecchio pastore Eumeo, (non porcaio! evidentemente non sarebbe dignitoso), a cui Penelope confida la sua fedele attesa, che la porta a ornare di fiori la colonna perché sia vista da ogni nave che sopraggiunge; anche Eumeo racconta la sua lunga fedeltà al padrone assente, e l’attenta salvaguardia dei suoi beni. Segue un lungo duetto fra Penelope e Ulisse: quest’ultimo finge di essere stato re di Creta (non è chiaro che cosa poi l’abbia ridotto a mendicare) e di avervi ospitato Ulisse; la donna espone i suoi dubbi, che il marito sia morto, sia preso da brama di guerra, soprattutto sia innamorato di un’altra. Nel consolarla su questo punto Ulisse quasi si svela: poi si riprende e le consiglia la gara dell’arco. In chiusura dell’atto, partite le donne, il re si manifesta ad Eumeo e agli altri pastori, organizzando con loro la vendetta: infatti, in assenza di Telemaco e soprattutto di Atena, è necessario predisporre un piccolo esercito di aiutanti.
Il terzo atto si svolge nel megaron, la grande sala centrale. I pretendenti esigono che Penelope scelga uno di loro e la donna propone la gara dell’arco. Prima dell’inizio, però, ha una visione profetica di strage e morte, che rende più vivace la vicenda, soprattutto tenendo conto che la vendetta, come si è detto, si svolge all’esterno. Infatti dopo che Ulisse ha compiuto la prova e ucciso Eurimaco con la seconda freccia, gli altri pretendenti fuggono chiedendo pietà, inseguiti dai pastori e dal re. Al rientro di Ulisse vittorioso si svolge un duetto d’amore fra i due sposi, seguito dalle acclamazioni del popolo di Itaca.
Gabriel Fauré
Gabriel Fauré (1845-1924) fu tra i principali compositori francesi del periodo compreso fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Rispetto ad altri rappresentanti della musica francese contemporanei, come Débussy o Ravel, Fauré si segnala per un più contenuto atteggiamento innovativo (risente dell’Impressionismo musicale in modo marginale e modesto) e una maggiore adesione alla tradizione musicale classica e romantica, da cui raccoglie spunti e idee, rielaborandoli in una sintesi molto personale e suggestiva. In particolare di grande interesse sono le innovazioni armoniche di Fauré: per tutta la vita lo Fauré si dedicò con passione intensa allo studio dell’armonia, proponendo in quest’ambito innovazioni importanti (per esempio un uso innovativo degli accordi di settima e di nona, non più considerati dissonanti) e usi più larghi di tonalità generalmente trascurate o marginali fin allora.
La Pénélope si presenta come un “poema lirico” in tre atti. La denominazione allude al fatto che essa non è costruita come una serie di brani chiusi, secondo la tradizione operistica italiana e francese, ma si svolge senza interruzioni nei singoli atti. In questa scelta si può vedere un influsso della musica wagneriana. Un’influenza di Wagner si ravvisa anche nell’uso della tecnica del Leitmotif.
Come appare fin dal Preludio, la musica della Pénélope si basa su un uso molto compatto dell’orchestra (il cui organico ricalca quello dell’orchestra tradizionale, senza le innovazioni e le aggiunte, soprattutto di strumenti a fiato e percussioni, che si hanno nelle opere wagneriane e in altre composizioni della recente tradizione francese), con uno svolgimento melodico gradevole e suggestivo. Per contro, nelle parti dei personaggi protagonisti è richiesta una vocalità forte e prorompente.
La prima rappresentazione, svoltasi a Montecarlo il 4 marzo 1913, non ebbe un grande successo: l’accoglienza sia del pubblico sia della critica fu piuttosto tiepida (anche per lo scarso impegno di alcuni interpreti). Ma Fauré considerava questa rappresentazione come un passaggio obbligato per la ripresa parigina, che si svolse il 10 maggio al Théâtre des Champs-Elysées in un clima molto più favorevole.