Libretto di Heinrich Strobel; musica di Rolf Liebermann
di Moreno Morani e Giulia Regoliosi
Si tratta di un’opera semiseria con la musica di R. Liebermann, rappresentata la prima volta al Festival di Salisburgo il 17 agosto 1954.
Rolf Liebermann (1910-1999) è stato un compositore svizzero poliedrico e di rilevante fama internazionale, che fu anche direttore artistico dei teatri d’opera di Parigi e di Amburgo, divenute entrambe sedi di grande prestigio internazionale per l’impulso da lui dato attirando la collaborazione e la presenza di interpreti di grande prestigio.
Liebermann raccontò in un’intervista al Neuer Wiener Tageszeitung, all’epoca della prima rappresentazione, come gli era nata l’idea: aveva letto in un giornale che una donna tedesca, risposatasi dopo la dichiarazione di morte del primo marito scomparso in Russia, aveva avuto la notizia del suo ritorno inaspettato. Corsa alla stazione, scopre che il marito è morto durante il viaggio. Ma nel frattempo il secondo marito, per lasciarla libera, si è impiccato: eine moderne Tragödie, in der das “blindwütige” Schicksal, die Ananke, waltet (“una moderna tragedia in cui domina il destino rabbiosamente cieco, l’Ananke”). Liebermann, colpito, decide di trovare per la sua opera un tema classico che richiami la vicenda moderna, e sceglie il mito di Penelope.
E’ curioso che pochi anni prima una simile idea sia venuta ad Alberto Savinio. Nella prefazione del suo dramma Alceste di Samuele Savinio racconta di essere rimasto impressionato dalla vicenda dell’editore tedesco Alfred Scheele, la cui moglie ebrea si era uccisa per non danneggiare il marito: a me, nella penombra di quella sala di teatro, balenò l’analogia tra la morte volontaria di quella moglie ebrea e la morte volontaria della moglie di Admeto. Morte che fa vivere.
Alceste di Samuele fu rappresentata nel 1950: è più che presumibile che Liebermann ne fosse a conoscenza, anche se c’è solo un vago accenno ad Alceste, in sé poco comprensibile, nell’articolo citato. Nulla esclude comunque il ricorrere del motivo occasionale.
Naturalmente nel mito Penelope non cede ai pretendenti, e non si risposa. Per evitare l’incongruenza, Liebermann e il librettista Strobel creano due livelli, cui corrispondono due scenografie e due diversi registri teatrali e musicali. Anzitutto una vicenda cornice, ambientata in una Grecia arcaica (con la data fantastica del 3649): si apre con un canto corale imitato dall’incipit omerico (Singe mir, Muse…) che elogia la fedeltà di Penelope, e prosegue con l’intervento di tre pretendenti, l’elemento comico dell’opera (uno dei tre, Demoptolemos, è anche balbuziente), mentre Telemaco ed alcune dame esortano Penelope alla perseveranza. Penelope propone ai pretendenti di assistere ad uno spettacolo teatrale che mostrerà quale sarebbe la loro sorte se lei accettasse di risposarsi, benché il Coro la metta in guardia sul rischio di svelare il destino.
Con l’espediente del metateatro siamo al secondo livello dell’opera, ambientato in Italia nel dopoguerra: den Schauplatz haben wir nach Italien verlegt, erstens aus sprachlichen Gründen – die Namen Ulisse, Achille usw., sind im Italienischen heute noch gebräuchlich-, zweitens, um die Fabel zu entpolitisieren (“abbiamo trasportato la scena in Italia, innanzitutto per ragioni linguistiche – il nome Ulisse, Achille, ecc, sono oggi ancora usuali in italiano, in secondo luogo per depoliticizzare la favola”, articolo citato). L’ambientazione italiana porta anche all’introduzione di parole italiane nel libretto. Pare che il postfascismo italiano degli anni cinquanta non avesse preoccupazioni politiche! Penelope è felicemente sposata da due anni col marchese Ercole di Gaeta, con cui ha un duetto amoroso mentre si preparano ad assistere al Ritorno di Ulisse di Monteverdi. Giunge una lettera di Ulisse, liberato dalla prigionia in Siberia: Penelope si dispera e vorrebbe fuggire con Ercole, ma questi la richiama al dovere di accogliere il marito.
Dopo un intermezzo in cui Telemaco discute coi pretendenti, riprende la rappresentazione. Il Coro celebra il miracolo avvenuto, mentre giungono il podestà e tre funzionari (gli stessi interpreti dei pretendenti) che costituiscono un elemento comico nella parte seria dell’opera. Entra un reduce, Achille, che comunica a Penelope la morte di Ulisse nel viaggio di ritorno. La notizia è sentita dalla donna come legata alla sua colpa per non aver saputo attenderlo.
Nell’intervallo Telemaco e il Coro celebrano con un nuovo Singe, mir Muse la fedeltà di Penelope, mentre i pretendenti commentano l’assurdità del plot di cui non capiscono il senso. Riprende lo spettacolo: Penelope rasserenata corre a dare la notizia ad Ercole, ma lo trova impiccato: in un crescendo drammatico accusa Dio di crudeltà verso gli uomini.
La parte finale costituisce un terzo livello in cui i due livelli si mescolano: Telemaco entra nello spettacolo per sostenere la madre; compare Odysseus, nelle vesti, e col nome greco, dell’ antico eroe, visibile a tutti ma non a Penelope; Coro, pretendenti e Telemaco commentano il ritorno del reduce e la necessità per i pretendenti di fuggire. Ulisse-Odysseus si mostra a Penelope e la riporta al primo livello, mentre compare un fondale che rappresenta una scena classicheggiante, sostituendo la concezione umanistica dell’antichità all’immagine arcaico/barbarica dell’inizio. Ulisse-Odysseus spiega al pubblico che è morto come tanti reduci sono morti, ma che è vivo per l’arte di Omero, capace di fare miracoli. Il Coro celebra, nuovamente con l’incipit omerico, das Lied von der alles verwandelnden Kunst “il canto dell’arte che tutto trasforma”.
La Penelope, rappresentata al Festival di Salisburgo nel 1954, ottenne un entusiastico consenso di critica e di pubblico, dopo che un suo lavoro precedente, una Leonore 40-45 che intendeva essere una modernizzazione del Fidelio beethoveniano, aveva suscitato le perplessità o l’ostilità della critica. Sia il libretto sia la musica mostrano il carattere eclettico del compositore: pur nella sua modernità l’opera segue lo schema usuale della suddivisione in arie, precedute da recitativi secchi o accompagnati dal’orchestra. L’impianto armonico tramezza fra il misurato accoglimento del sistema dodecafonico e l’adesione ai canoni armonici tradizionali (l’autore fu anche sensibile alle suggestioni della musica jazzistica e ad altre correnti musicali moderne). Ideale punto di riferimento e modello ispiratore per Penelope può essere considerato l’Oedipus Rex stravinskiano (1927) coi suoi riferimenti neoclassici.
L’opera inizia con una breve fanfara a cui le sonorità degli ottoni e dei timpani conferiscono una grave solennità, seguita da un brano corale prossimo al ritmo di marcia 📣 .
Nell’opera si rilevano momento di grande liricità, come il duetto fra Penelope ed Ercole del secondo quadro 📣 ,e momento in cui l’andamento pensoso si alterna in modo improvviso con passaggi dal ritmo saltellante e spiritoso (come nel monologo di Telemaco “ich versteh’ nicht die Mama” 📣). L’adeguarsi della musica (e della costruzione armonica) al diverso carattere dei personaggi è ben rappresentata dal diverso atteggiarsi musicale nei momenti in cui sono in scena i proci, come risulta p.es. dal terzetto in cui i tre personaggi esprimono il loro disagio e la loro convinzione di essere stati ingannati da Penelope 📣 La suggestione del modello operistico tradizionale si percepisce bene nel passaggio finale al momento dell’entrata in scena di Odysseus, che proclama di essere frutto di fantasia esattamente come la vicenda di Penelope: dopo un iniziale recitativo seguito da un momento di recitativo accompagnato il canto procede con un’aria dai toni solenni 📣. La musica segue in modo fedele la presenza dei due piani dell’azione, e il carattere semiserio dell’opera viene seguito in modo appropriato dal dipanarsi della vicenda musicale.
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