1934, tr. it. Il divo Claudio, Bompiani 1936/1986, Il Corbaccio 2010
a cura di Giulia Regoliosi
L’autore è un famoso studioso di storia delle religioni, di cui ricordiamo in particolare I miti greci (1936), ma anche romanziere e poeta. L’impostazione di queste due opere è quella di un’immaginaria autobiografia di Tiberio Claudio Nerone, quinto imperatore della dinastia Giulio-Claudia: la prima termina con la designazione ad imperatore dopo l’assassinio di Caligola, la seconda con la designazione del figlio Britannico a coerede insieme con il figliastro Nerone e la premonizione della prossima morte: segue un’appendice col resoconto della morte di Claudio nelle versioni di Suetonio, di Tacito e dell’epitome di Cassio Dione e un breve riassunto degli avvenimenti dal 55 al 69.
L’intento del Graves è quello di darci un vasto affresco delle vicende di Roma e del suo impero in un periodo di circa novant’anni, poiché 1’immaginario autore inizia a narrare partendo da vicende molto precedenti la sua nascita, vale a dire dal matrimonio fra sua nonna Livia e Ottaviano. La scelta del fittizio testimone non è casuale: non solo Claudio aveva la possibilità di essere al corrente di tutti i fatti che racconta, ma, come si sa, 1’imperatore fu effettivamente uno storico e, in particolare, un autobiografo, per cui l’attribuzione a lui del testo è legittima e credibile.
Graves è attento ad evitare di fornire a Claudio idee o visioni lungimiranti che sarebbero anacronistiche, tranne una e fondamentale che fa da Leitmotiv alle due opere: già nel primo capitolo del primo libro è citata una profezia sulla dinastia Giulio-Claudia, che guida Claudio sia ad interpretare i fatti di cui è testimone, sia a tentare un progetto destinato a fallire: riconoscendo, infatti, nel sesto e ultimo imperatore citato nel carme il proprio figliastro Nerone, Claudio fa in modo di sceglierlo come erede allontanando il figlio dalla corte; spera così che, terminata nel sangue la dinastia imperiale, Britannico si assuma i1 compito di restaurare la repubblica; ma, per l’opposizione dello stesso figlio ormai inserito nella logica di potere, è costretto a farlo coerede. Tutti gli altri avvenimenti che si svolgono a Roma e nelle provincie (con ampio rilievo dato alla Giudea) sono riferiti con un misto di serietà, ironia ed autoironia che ben si addicono al personaggio. Naturalmente, data l’impostazione delle opere, non sono via via citate le fonti. Tuttavia, dopo il primo libro che aveva suscitato alcune critiche da parte degli storici, il Graves ha premesso al secondo una Nota in cui elenca tutte le fonti antiche da lui consultate e dà ragione del modo con cui ha trattato alcuni episodi meno documentati e, in particolare, l’atteggiamento di Claudio nei confronti del Cristianesimo.
Nel complesso si tratta di opere leggibili a diversi livelli culturali, ben raccontate e molto interessanti. Un unico appunto: la famiglia Giulio-Claudia è, come si sa, estremamente complicata per le sue numerose ramificazioni e intrecci: ora, la difficoltà del lettore a ricordare le parentele è qui accentuata dall’uso di diminutivi e soprannomi (ignoti abitualmente a chi ha nozioni scolastiche), che ricorrono anche nell’albero genealogico premesso ad entrambi i libri. Sarebbe stato meglio che almeno nell’albero fossero riportati sia i nomi veri sia nomignoli.