Conticuere omnes intentique ora tenebant
Conticuit tandem factoque hic fine quievit
Sono i versi che iniziano il II e concludono il III libro dell’Eneide, cioè i versi che racchiudono il racconto di Enea. Notiamo anzitutto che i verbi di modo finito sono quattro, di cui due si richiamano, anche metricamente: l’elisione di -r(e) nel primo verso, che accorcia la parola unendo l’ultima sillaba alla parola successiva, accentua il richiamo a distanza, già presente nell’uguaglianza del verbo. Questa corrispondenza mi fa mettere in dubbio che il cum– preverbo del primo verso rafforzi omnes (tacquero insieme tutti), perché Enea tace da solo; quindi accedo di più all’idea (si veda M.Morani, Introduzione alla linguistica latina, Lincom, München, 2000, pag. 269 e 272) che il preverbo rilevi il valore puntuale/ingressivo (si zittirono o si misero a tacere:Leopardi traduceva ammutirono): la sala del banchetto si zittisce di colpo; d’altra parte il racconto di Enea termina bruscamente con la morte di Anchise, lasciando in sospeso tutta la vicenda siciliana, già accennata nel primo libro e ripresa nel quinto, perché il dolore della perdita inattesa prevale sugli aspetti più aneddotici dell’accoglienza. Il terzo verbo di modo finito, quievit, in allitterazione con conticuit come –qu’ora è in allitterazione con conticuere (inoltre l’allitterazione conticuit-quievit forma chiasmo con l’allitterazione interna factoqu’hic fine) dice più che il silenzio: è il pacificarsi del cuore dopo che il dolore è stato raccontato, la fatica del ricordo compiuta, il significato recuperato. Servio interpreta quievit come andò a dormire: lo trovo molto improbabile. Penso che si quietò possa renderlo, o anche qualcosa di più forte, come si pose in pace. L’importante è rendersi conto che il IV libro inizia con at regina: sia la pace di Enea, sia eventualmente il sonno, sono in opposizione con l’inquietudine della regina, già segno della tragedia imminente.
L’altro verbo di modo finito, tenebant, è in opposizione aspettuale rispetto ai tre predetti: indica l’azione durativa dell’ascolto che si prolunga per tutto il racconto, quindi virtualmente per due libri: notiamo all’inverso i due imperfetti del penultimo verso del III libro, riferiti ad Enea che unus…/ renarrabat… docebat. Ma sia tenebant sia ora sono polisemici: il verbo significa sia dirigere sia trattenere, il sostantivo sia volti sia bocche: quindi il sintagma può significare volgevano i volti, oppure frenavano le bocche: il primo significato sarebbe rafforzato da intenti (tesi, attenti) il secondo riprenderebbe conticuere, indicando il perdurare dell’azione momentanea: si misero a tacere…restavano in silenzio. Ma è conservabile nella traduzione la polisemia? Per lo più la scelta è di esprimere il primo significato; dei testi riportati più avanti solo Bacchielli mi sembra esprima il secondo con qualche tentativo di conservare il primo : muti tenendo nell’attesa il labbro. Alcuni traduttori rendono poi intenti in riferimento ad ora, invece che al soggetto: tenevano intenti gli sguardi (Vergara). Anche Leopardi traduceva fissi in lui / teneano i volti. A parte la libertà sintattica, dimenticano intentis omnibus del terzultimo verso del III libro.
Riporto ora alcune traduzioni: oltre alle osservazioni fatte qua e là, mi soffermerò su quievit (purtoppo Leopardi traduce solo il II libro)
Annibal Caro
Stavan taciti, attenti e disiosi / d’udir già tutti, quando…
….fece qui fine e tacque
Il secondo verso è ridotto ed elimina quievit.
Calzecchi
Tacquero tutti e intenti il viso tendevano
E tacque, infine, e qui pose termine al racconto e finì.
Quievit è tradotto finì, con un’ulteriore ripresa dell’idea già espressa ampiamente. Penso che l’intenzione della traduttrice sia di conservare la parola breve con forte accento, più che il concetto banalizzato.
Vivaldi
Tacquero tutti: gli occhi intenti al viso di Enea / pendevano dalle sue labbra
Poi finalmente tacque / pose fine al suo dire, stanco si riposò
L’idea del porsi in pace, del riposo, è interessante, ma mi sembra troppo accentuata dall’aggettivo, come se fosse solo la stanchezza del lungo parlare.
Albini
Tacquero tutti, con gli sguardi a lui
E qui si tacque / giunto a la fine, e fu sua voce cheta
Quievit è reso con la ripetizione dell’idea del silenzio. Interessante però la scelta etimologica dell’aggettivo
Bacchielli
Tutti tacquero allora, attenti e fissi / muti tenendo nell’attesa il labbro
…alfin si tacque, e ancor taceano gli altri
Traduzione ridottissima, che costringe il traduttore ad un’aggiunta bizzarra: perché poi gli altri non potevano finalmente parlare, magari commentando?
Vergara
S’azzittirono tutti, tenevano intenti gli sguardi
Tacque alla fine e avendo concluso stette raccolto
Quievit sarebbe azione puntuale, quindi l’idea della durata (stette) è scorretta. Però l’immagine mi piace.
Baldassarre
Si fece silenzio. I volti stavano intenti /al padre Enea…
Qui mise fine al racconto e tacque, posò.
Posò per quievit mi sembra accettabile: anche questa parola ha la brevità e il forte accento, senza la banalità del finì della Calzecchi.