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Testi bucolici nella poesia straniera

by Mariapina Dragonetti

Marcabru (XII secolo)

L’autrier jost’una sebissa
trobey pastora mestissa,
de joy e de sen massissa;
e fon filha de vilayna;
cap’e gonelh’ e pelissa
vest e camiza treslissa,sotlars e caussas de layna.
L’altro ieri nei pressi d’una siepe
ho trovato un’umile pastora
piena di gioia e di assennatezza,
che era figlia di una villana:con cappa, gonnella e pelliccia
vestiva camicia di traliccio
e scarpe con calze di lana.
 Ves lieys vinc per la planissa:
“Toza” fi·m ieu, “res fatissa,
dol ai del freg que vos fissa”.
“Senher”, so dis la vilayna,
“merce Dieu e ma noyrissa,
pauc m’o pretz si·l vens m’erissa,
qu’alegreta suy e sayna”.
 A lei m’avvicinai lungo la piana:
“Ragazza, diss’io, essere grazioso,
mi duole che il freddo vi punga”.
“Signore, mi disse la villana,
a Dio piacendo e alla mia nutrice
poco mi fa che mi scarmigli il vento,
ché sono rallegrata e sono sana”.
 “Toza” fi·m ieu, “causa pia,
destouz me suy de la via
per far a vos companhia;
quar aitals toza vilayna
no deu ses parelh paria
pasturgar tanta bestia
en aital terra soldayna”.
 “Ragazza, diss’io, buona creatura,
mi sono discostato dalla via
per starmene un poco con voi,
perché una sì giovane villana,
mancando d’adeguata compagnia,
non deve pascolare tanto gregge
in siffatta terra silvana”.
(…)(…)
 “Belha, de vostra figura
non vi autra pus tafura
ni de son cor pus trefayna”.
 “Mia bella, con il vostro aspetto
altra non vidi sì tanto perversa,
né con il cuore così traditore”.
 “Don, lo cavecs vos ahura,
que tals bada en la penchura
qu’autre n’espera la mayna”.
 “Messere, questo vi predice la civetta:
quello si stupisce all’apparenza,
e l’altro la manna se ne aspetta”.
 Traduz. di G. E. Sansone, da La poesia dell’antica Provenza (volume primo), a cura di G. E. Sansone, Milano, ed. Guanda, 1984

Una “pastorella” gallego-portoghese

Quand’eu hun dia fuy en Compostela
en romaria, vi hunha pastor
que, poys fuy nado, nunca vi tan bela,
nen vi outre que falasse milhor,
e demandey-lhe logo seu amor
e fiz por ela esta pastorela. 

Dixi lh’eu-logo: «Fremosa poncela,
quereds vós min por entendedor,
que voy darey boas toucas d’Estela,
e boas cintas de Rrocamador, 
e d’outras doas a vosso sabor,
e ffremoso pano per gonela?» 

. . . . . . . . . . . . . .

E diss’ela, come ben ensinada:
«Por entendedor vos quero filhar
e, poys for a rromaria acabada,
aqui, d’u sõo natural, do Sar,
cuydo-m’eu, se me queredes levar,
ir m’ei vosqu’e fico vossa pagada»  
Quando un giorno andai a Compostella
in pellegrinaggio, vidi una pastora
che, da quando sono nato, mai ne ho visto una così bella,
né ne vidi un’altra che parlasse meglio,e
le richiesi subito il suo amore
e feci per lei questa pastorella. 

Subito le dissi: “Bella fanciulla,
mi volete per amante,
che vi darò belle cuffie di Estella,
e belle cinture di Ricamadour,
e altri doni a vostro piacere
e bella stoffa per una veste?”

 . . . . . . . . . . . .

E lei mi disse, da persona ben assennata:
“Per amante vi voglio prendere
e, quando il pellegrinaggio sarà compiuto,
da qui, da dove sono nativa, dal Sar,
io penso, se vorrete portarmi via,
verrò con voi e sarò vostra ben contenta”. 

Questa pastorella è di Pedr’Amigo de Sevilha, che opera nella cerchia di Alfonso X di Castiglia (seconda metà del sec. XIII). Lo spunto iniziale non è molto diverso da quello delle altre pastorelle dell’epoca, ma l’ambientazione è posta accuratamente in Galizia (il viandante si sta recando in pellegrinaggio a Santiago di Compostella e la donna ricorda di essere nativa della regione: il Sar è appunto il fiume della Galizia). Il termine romaria indicava in origine il pellegrinaggio a Roma, e in un secondo momento è passato a significare qualunque tipo di pellegrinaggio.

Inigo López de Mendoza, marchese di Santillana

 Serranilla

Moça tan fermosa
non vi en la frontera
com’ una vaquera
de la Finojosa.
Ragazza così bella
non vidi entro i confini
come una bovara
della Hinojosa.
Faziendo la vía
del Calatraveno
a Santa Marìa,
vençido del sueño,
por tierra fraguosa
perdí la carrera,d
o vi la vaquera
de la Finojosa.
Facendo la viad
el Calatraveno
per Santa Maria,
vinto dal sonno,
attraverso una zona sterposa
ho perso la strada,
e vidi lì la bovara
della Hinojosa.
En un verde prado
de rosas e flores,
guardando ganado
con otros pastores,
la vi tan graçiosa
que apenas creyera
que fuesse vaquera
de la Finojosa.
In un verde prato
di rose e fiori,
mentre sorvegliava il bestiame
con altri pastori,
la vidi così graziosa
che appena avrei creduto
che fosse una bovara
della Hinojosa.
Non creo las rosas
de la primavera
sean tan fermosas
nin de tal manera.
Fablando sin glosa,
si antes supiera
de aquela vaquera
de la Finojosa,
Non credo che le rose
della primavera
siano così belle
né di tale aspetto.
Parlando apertamente,
se avessi saputo prima
di quella bovara,
della Hinojosa,
non tanto mirara
su mucha beltad,
porque me dexara
en mo libertad.
Mas dixe:”Donosa(
por saber quién era),
¿donde es la vaquera
de la Finojosa?”.
non avrei tanto guardato
la sua grande bellezza,
perché mi sarei lasciato
nella mia libertà.
Invece dissi: “Carina,
(perché sapevo chi era),
dov’è la bovara
della Hinojosa?”
Bien commo riendo,
dixo: “Bien vengades,
que ya bien entiendolo
que domandades:
non es desseosa
de amar, nin lo espera
aquessa vaquera
de la Finojosa”.
E come ridendo
disse:” Benvenuto,
già capisco bene
ciò che chiedete:
non desidera
amare, né lo aspetta,
questa bovara
della Hinojosa”. 

Garcilaso de la Vega

  Egloga I, v.239 segg.

Corrientes aguas, puras, cristalinas;
árboles que os estáis mirando en ellas,
verde prado de fresca sombra lleno,
aves que aquí sembráis vuestras querellas
hiedra que pór los árboles caminas,
torciendo el paso por su verde seno;
yo me vi tan ajeno
del grave mal que siento,
que de puro contento
con vuestra soledad me recreaba,
donde con dulce sueño reposaba
o con el pensamiento discurría
por donde no hallaba
sino memorias llenas de alegría.
Acque correnti, pure, cristalline,
alberi che vi specchiate in esse,
verde prato di fresca ombra pieno,
uccelli che qui spargete i vostri lamenti
edera che cammini attraverso gli alberi,
piegando il passo attraverso il loro verde
grembo; io mi vidi così estraneo
al grave dolore che provo,
che di pura contentezza
nella vostra solitudine mi ristoravo,
dove con dolce sonno riposavo
o con il pensiero passavo
dove non c’erano
se non memorie piene di gioia.
Y en este mismo valle, donde agora
me entristezco y me canso, en el reposo
estuve ya contento y descansado.
¡Oh bien caduco, vano y presuroso!
E in questa stessa valle,
dove orami rattristo e mi affliggo, nel riposo
fui allora contento e ristorato.
O bene caduco, vano e frettoloso!

Egloga III, v. 289 segg.

Más claro cada vez el son se oía,
de dos pastores, que venian cantando
tras el ganádo, que también venía
por aquel verde soto caminando,
y a la majada, ya pasado el día,
recogido llevaban, alegrando
las verdes selvas con el son suave

haciendo su trabajo menos grave.
Più chiaro ogni volta si udiva il suono
dei due pastori, che venivano cantando
dietro il bestiame, che pure veniva
camminando sotto quella verzura,
e alla stalla, essendo già trascorso il giorno,
lo portavano radunato, rallegrando
i verdi boschi con il suono soave
rendendo il proprio lavoro meno pesante.
Tirreno destos dos el uno era,
Alcino el otro, entrambes estimados,
y sobre cuantos pacen la ribera
del Tajo, con su vacas, enseñados
mancebos de una edad, de una manera
a cantar juntamente aparejados,
y a responder, aquesto van diciendo,

cantando el uno, el otro respondendo.
Tirreno era uno di questi due
Alcino l’altro, entrambi stimati,
e, più di tutti quelli che fanno pascolare
sulla riva del Tago le loro mucche, abili;
giovani della stessa età, nello stesso modo
pronti a cantare insieme,
e a rispondere, questo stanno dicendo,
l’uno cantando, l’altro rispondendo.

W. Shakespeare

The Winter’s Tale, IV, vv. 116-129

O Proserpina,
For the flowers now that, frighted, thou, let’st fall
From Dis’s waggon! – daffodils,
That come before the swallow dares, and take
The winds of March with beauty; violets, dim
But sweeter than the lids of Juno’s eyes
Or Cytherea’s breath; pale primroses,
That die unmarried ere they can behold
Bright Phoebus in his strenght-a malady
Most incident to maids; bold oxlips, and
The crown-imperial; lilies of all kinds,
The flow’r-de-luce being one. O, these I lack
To make garlands of, and my sweet friend
To strew him o’er and o’er!

O Proserpina, cosa darei ora per quei fiori che tu lasciasti cadere, spaventata, dal carro di Dite! Narcisi, che giungono prima che osi la rondine, e colpiscono i venti di marzo con la loro bellezza; violette, oscure ma più dolci delle palpebre di Giunone o del respiro di Citerea; pallide primule, che muoiono vergini prima di poter ammirare il luminoso Febo nella sua forza – una malattia molto frequente fra le ragazze; superbe primavere maggiori, e la fritillaria imperiale; gigli di ogni specie, e in particolare il giaggiolo. O, questi io non ho per farti ghirlande, e ricoprire tutto il mio dolce amico!

(ibid, vv. 159-165)

Cam.: He tells her something
That makes her blood look out. Good sooth, she is
The queen of curds and cream.
Clo.: Come on, strike up.
Dor.: Mopsa must be your mistress; marry, garlic,
To mend her kissing with!
Mop.: Now, in good time!
Clo.: Not a word, a word; we stand upon our manners.
Come, strike up.

Cam.: Le dice qualcosa che le fa salire il sangue in volto. In verità, è la regina delle ricotte e della panna.
 Clo.: Su, cominciate a suonare!
Dor.: Mopsa deve essere la tua innamorata; sposala, aglio, per migliorare i suoi baci!
Mop.: E piantala!
Clo.: Neanche una parola; dobbiamo comportarci bene. Su, cominciate a suonare!