Έγκλημα στην Αρχαία Ολυμπία, Atene 2007, tr. it. Omicidio a Olimpia, Casa Editrice Nord 2009
Siamo a metà del secolo quinto a.C. Un aristocratico ateniese, allontanato dalla vita politica per il prevalere dei democratici, si reca ad Olimpia per assistere i giochi. Poco dopo un atleta spartano viene ucciso, in una situazione da camera chiusa. Nel generale scandalo, che potrebbe portare ad implicazioni gravi per la pace fra le poleis, il protagonista viene incaricato delle indagini insieme ad un rappresentante di Sparta, con cui stringe amicizia dopo un’iniziale diffidenza.
L’autore è uno studioso greco dai vari meriti accademici, ma come giallista si direbbe alle prime armi. Il romanzo è pesantemente e scopertamente didascalico (storia, politica, istituzioni, storia dell’arte, mitologia, ecc.), e oltre tutto non sempre attendibile. Il plot di fantastoria è pieno di avventure e colpi di scena, ma non convince, perché la scrittura è noiosa e banale e le vicende risapute. In più c’è una vicenda romantico/erotica (tipo Harmony) con una bella spia, con l’aggiunta di un’altra del tutto assurda.
L’edizione italiana aggiunge di suo (oltre alla copertina che indica il IV secolo invece del V) un’irritante modalità di riportare i nomi propri di persone, dèi e luoghi secondo la trascrizione italiana della pronuncia greca moderna. Quindi: Periklìs, Vereniki, Ekàvi, Aretì, gli dèi Ira, Diki, Tichi, Aris, Ifastos, Ermìs, la città Pissa, ecc. Ma perché mai? Non è la grafia greca (che è rimasta quella originaria, con la distinzione grafica fra η ed ι, e l’uso della β), non è la pronuncia del sec. V a. C., non è il modo con cui il lettore italiano conosce i nomi: o il traduttore li ha trascritti senza sapere che cos’erano?