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Un latino o tanti latini?

by Mariapina Dragonetti

di Moreno Morani

Un latino o tanti latini?
E’ la domanda fondamentale che tutti i cultori e gli insegnanti di latino dovrebbero porsi.

Proponiamo come tentativo di risposta alcuni contributi di Moreno Morani che dal 1992 e per diversi anni sono stati ospitati sulle pagine della rivista Nuova Secondaria  in una rubrica che aveva il nome di Attraverso il latino.
Si tratta di una serie di contributi brevi, con un supporto critico e bibliografico in genere ridotto, nati come strumento per una riflessione sulla didattica del latino e come proposte di lavoro.

Nuova Secondaria, 15 febbraio 1993, pag. 81

Ogni lingua presenta delle varietà, le cui motivazioni sono da cercare, sinteticamente, in quattro grandi ordini di ragioni:
varietà diacroniche: una lingua si modifica col mutare del tempo, o per il sopraggiungere di mode espressive e di gusti nuovi o per l’esigenza di adattarsi a nuovi contenuti culturali che corrispondono al continuo e naturale allargarsi delle conoscenze umane;
varietà diatopiche, legate alle differenti regioni in cui una lingua viene usata;
varietà diastratiche, legate ai diversi ambienti sociali;
varietà diafasiche, legate alle diverse finalità stilistiche che l’autore del testo si propone: la lingua che si parla è diversa dalla lingua che si scrive, e anche all’interno della lingua scritta esistono varietà: è naturale che la stesura  di uno scritto con fini artistici, di una relazione ufficiale, di un’annotazione rapida per uso personale comportino una differente cura nell’evitare espressioni idiomatiche o tendenzialmente volgari.

      Poiché il panorama della cultura latina nelle sue espressioni letterarie che si abbraccia nel corso dello studio liceale spazia in un arco che supera il millennio (e più ancora se il docente decide di fare qualche incursione nel latino medievale), ed essendo il latino la lingua di un impero sempre più vasto ed etnicamente differenziato, è chiaro che la lingua risente di queste variazioni, così come le diverse esigenze espressive a cui di volta in volta i diversi autori indirizzano il loro messaggio è ulteriore motivo di varietà. Vanno aggiunte ancora due considerazioni. Innanzitutto la mancanza in epoca antica di mezzi di comunicazione efficaci e penetranti come gli attuali ha impedito che si verificasse una standardizzazione della lingua pari a quella che si ha nelle principali lingue europee moderne, anche se la lingua di Roma, per ragioni politiche e culturali in pari misura, si proponeva come modello, almeno per la lingua scritta: cessate, con la fine dell’impero, le condizioni che favorivano questa iniziale normalizzazione del latino, anche la disgregazione linguistica poté procedere in modo più rapido e definitivo. In secondo luogo, mentre  lo studio di una lingua moderna esige un’impostazione sincronica (chi impara l’inglese o il francese ha un chiaro punto di riferimento nella lingua standard moderna), viceversa lo studio di una lingua antica, che ha oltretutto una finalità fondamentalmente culturale (così che l’apprendimento della lingua non è fine a sé stesso, bensì premessa necessaria per uno studio non inadeguato e non superficiale di una cultura complessa e cangiante), deve per forza di cosa avere un’impostazione diacronica. Oltre tutto, il venir meno nell’uso scolastico della versione in latino porta al superamento di passati pregiudizi che, identificando nella lingua della prosa letteraria l’unica varietà di latino “buona”, in contrapposizione ad altre sempre in qualche misura censurabili, orientavano lo studio linguistico all’esclusivo apprendimento di questa.

      La domanda del titolo è chiaramente tendenziosa, nonché irrilevante da un punto di vista scientifico: che si chiami anglosassone o inglese antico la lingua del Beowulf ha poca importanza: il Beowulf, Chaucer, Shakespeare,  Hemingway rappresentano fasi diverse di una ininterrotta evoluzione linguistica: dando a tutte l’etichetta di inglese si sottolinea la continuità, fermo restando che fra il primo e l’ultimo momento il sistema ha subito trasformazioni tali da renderlo pressoché irriconoscibile. Allo stesso modo, dando l’etichetta di latino tanto alla lingua del vaso di Duenos quanto a quella degli autori dell’età cesariana o delle iscrizioni tarde (per non parlare della lingua del De vulgari eloquentia di Dante), si sottolinea l’esistenza di una unità culturale al di là delle differenze: esattamente come fanno parte della letteratura latina a pieno titolo tanto Catone quanto Ambrogio, nonostante l’enorme diversità di concezione che li separa.

      Poste queste premesse, una più completa presa di conoscenze delle varietà del latino è augurabile da parte dell’insegnante. È il fine che si propone la serie di brevi note che abbiamo oggi introdotto.

LATINO: VARIETA’ DIASTRATICHE e DIAFASICHE

                                                       LATINO: VARIETA’ DIACRONICHE

                                                       LATINO: VARIETA’ DIATOPICHE

                                                                         LA PRONUNCIA DEL LATINO